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La leibniziana “Teodicea” (1710), cioè la tesi secondo cui questo sarebbe il migliore dei mondi possibili, la sofferenza sarebbe giustificabile (=patodicea) e quindi Dio esisterebbe, è forse penetrata per la prima volta nella storia del cinema, subdolamente, con il Dreyer de “L’angelo del focolare” (1925). Frank Capra si sentì costretto a riesumarla con “La vita è meravigliosa” (1946), inserendovi pure un confronto con una realtà alternativa, nel tentativo postbellico di risollevare lo stato d’animo dei sopravvissuti. Il risultato fu un fiasco clamoroso. Il pubblico dimostrò di non tollerare più favolette del genere, aveva appena visto il male in faccia, lo aveva appena conosciuto sulla propria pelle e nella propria carne. Sembrava tutto finito. Invece in questi ultimi anni, sorprendentemente, Hollywood è tornata alla riscossa, con film innocui solo in apparenza come “Una settimana da Dio” (2003), “Cambia la tua vita con un click” (2006) e “White noise: the light” (2007). Qualcuno rassicuri Ratzinger: il teismo ha ancora in mano il potere sulle coscienze.